«Scrivo sull’anima delle persone, sul loro spirito» Intervista al compositore Jacopo Baboni-Schilingi
Immersione nell’universo creativo di Jacopo Baboni-Schilingi, artista che collabora con la Maison Chanel, insegna composizione al Conservatoire de Musique de Montbéliard ed è docente presso il Dipartimento di Musicologia Contemporanea della Paris-IV Sorbonne. Ha lavorato anche con Luciano Berio e dedica la vita alla sperimentazione musicale e alla ricerca estetica.
di Carmen Oria
Comunicare è una condizione sine qua non dell’essere umano. Esistono diversi modi e mezzi per farlo. Abbiamo incontrato e vi presentiamo Jacopo Baboni-Schilingi, un compositore sui generis che scrive su corpi umani e punta all’interattività.
È importante sapere che non esiste musica che io abbia scritto al computer dal 2007 ad oggi. Tutto è stato scritto sui corpi umani. Racconta ad Ecce Musica il compositore italiano, nato a Milano il 4 aprile 1971, che ha scelto Parigi come sua casa da diversi anni.
Sul suo sito web si legge: La mia scelta è drastica, enfatica e potente, poiché rappresenta letteralmente un ritorno al corpo, un ritorno carnale[…]Nel mio studio trasformato in laboratorio di calligrafia e studio fotografico, collaboro con modelli maschili e femminili, che fungono da tele viventi per le mie composizioni.
Le opere di Baboni-Schilingi sono eseguite in Argentina, Austria, Belgio, Brasile, Canada, Cile, Cina, Corea del Sud, Dubai, Francia, Finlandia, Germania, Giappone, Italia, Messico, Olanda, Portogallo, Spagna, Stati Uniti d’America Svizzera, Svezia e Ucraina.
Come nasce quest’idea di scrivere sui corpi col pennello?
Dal duemila al 2007 ho scritto al computer per tutti una serie di motivi legati alle case editrici che non volevano più avere i manoscritti e volevano avere i cosiddetti PDF. Poi nel 2007, esattamente il 7 marzo -ho ancora la fotografia- ho scritto la mia prima partitura su un corpo che era quello della mia fidanzata dell’epoca. Da allora non ho mai smesso e da allora sono l’unico.
Potresti descrivere il tuo processo di creazione?
Per ore ho composto direttamente sui corpi, riscoprendo il potere del momento presente. Rivivo appieno la durata della composizione, precedentemente spazzata via dalla digitalizzazione, del tempo e dalla musica assistita dal computer, lontano dal corpo. Le mannequin sono nude. La loro pelle, che diventa tela della composizione, ha una ruvidità naturale che durante la composizioneinfluenza la colonna sonora, come elemento inaspettato da integrare nel risultato finale. Le implicazioni possono essere di vasta portata. Se fossimo in Asia, Giappone, Cina, Corea, direbbero che scrivo in Qi o Ci. Nel mio continente, l’Europa, dico che scrivo sull’anima delle persone, sul loro spirito.
Jacopo, raccontaci un po’ la produzione scenica del tuo lavoro come compositore.
Ovvio che le e-mail, e i testi teorici li scrivo al computer, ma la musica no. Quando la mia musica viene eseguita sul palcoscenico o nelle sale di concerto, non è mai musica puramente strumentale, c’è sempre dell’elettronica. Tutta la musica che io scrivo da diversi anni ad oggi sono tutti pezzi di musica mista. Cioè, c’è una orchestra sul palco, ma ci sono anche delle casse di altoparlanti con me che sto al computer. Quando c’è un solista o un Quartetto per archi sono sempre sul palco di fianco a loro e io suono il computer. Questo si chiama musica mista o musica interattiva.
Quand’è che anche tu usi il computer?
Ecco, quando faccio i suoni uso il computer, quando faccio mix uso il computer. Quando devo creare dei calcoli complessi per studiare delle armonie complesse, uso il computer. Quindi il computer è uno strumento di calcolo, necessario se devo fare dei suoni, necessario se devo fare dei video. Ma la mia musica la scrivo sui corpi umani. Ho girato ormai una trentina di paesi del mondo. Sono l’unico compositore che lo fa.
Cosa intendi quando dici che le tue composizioni non sono anonime?
In effetti, la scrittura che faccio non è anonima. Risponde a un musicista o artista specifico per poter sublimare le sue capacità. Proprio adesso sto scrivendo un pezzo per la violoncellista franco-belga Camille Thomas.Il violoncello è uno strumento uguale per tutti, uomini o donne che siano, ma scrivere per lei significa farlo suonare come lei lo sa suonare. Ho scritto la Sonata per il pianista francese di origini libanesi-messicane che vive a Parigi Simon Ghraichy, e sto scrivendo ancora altri due pezzi per lui. Ghraichy è un pianista di grandissima virtuosità e quindi scrivere per lui significa farlo su misura, amplificare le sue specifiche doti in questo musicista. La mia musica viene suonata da tanti musicisti ed è ovvio magari che ci sono anche dei musicisti che la suoneranno meglio delle persone per cui l’ho dedicata o scritta. Ma nel mio caso scrivere un pezzo per loro – come dicevo prima – è per me fonte di ispirazione.
Che significato ha per te la scrittura?
Scrivere al computer non è scrivere, è cliccare al computer, Quindi credo che la scrittura sia il modo, la tecnica che io privilegio perché credo sia la più efficace per accedere alla trascendenza. C’è gente che accede alla trascendenza pregando, altri facendo meditazione, altri facendo dello sport estremo, altri – magari –mettendo su famiglia, mettendo al mondo dei figli. Nel mio caso, il più alto livello di trascendenza non l’ho raggiunto quando ho messo al mondo i miei due figli, né col matrimonio, né pregando, via dicendo. Oserei dire che nel mio specifico casola scrittura è il modo in cui io accedo in maniera più profonda alla trascendenza. Attraverso il computer questo non può avvenire. Nel 2007 dopo sei, sette anni che scrivevo al computer, ho smesso. Prima del 2000 negli anni della mia adolescenza scrivevo su carta. Successivamente quando gli editori ci hanno invitato direttamente a scrivere al computer io l’ho fatto. Per sette anni avevo un po’ perso questa passione davanti la stessa scrittura e dal 2007 sono tornato a scrivere, ma sui corpi, e ho smesso totalmente di scrivere al computer.
Come definiresti la tua musica attuale?
Allora, io posso definire la mia musica corporeo-centrica. In italiano si dice corpo centrica o corpo centrata. È brutto come termine. Il corporeo centrismo, in francese corporocentrisme, è l’idea del corpo, non soltanto l’idea e il fatto che io tragga ispirazione da altre persone. Le altre persone si esprimono per me tanto per la parola, quanto per le azioni, quanto per i fatti, addirittura con gli oggetti. Pensiamo alle opere d’arte, agli scritti, alla poesia, ai film. E questo mi ispira indubbiamente, e mi ispira di più lavorare sugli artisti. In termini molti precisi, traggo ispirazione dagli artisti, dai cantanti, ballerini, uomini e donne, non c’è assolutamente differenza. Ballerini, attori di teatro, pittori, fotografi, cineasti, di tutti c’è qualcosa nella mia opera. Sono persone che hanno vite ed anime, e sono soprattutto persone d’arte. Quindi sanno vibrare in maniera simpatica, cioè di simpatia quasi fisica.
E le tappe della tua musica?
La mia musica l’ho chiamata in modi diversi nei vari anni della mia vita. Quando avevo 16 anni la chiamavo Gravitazione musicale perché mi ero ispirato alla fisica di Newton sulla gravitazione universale. Poi dopo aver fatto gli studi sull’intelligenza artificiale, la mia musica la chiamavo Composizioni per modelli interattivi e poi l’ho chiamata Musica ipersistemica. Ogni volta unaevoluzione. Non è andare in là, è uno spostarsi in dimensioni diverse dello spirito e della pratica. Quindi oggi potrei chiamare la mia musica Corporeo centrica. Ho anche scritto un libro su sei modelli di analisi ermeneutica dove spiego –appunto – come si può recepire la musica in generale. Un’arte in generale si percepisce attraverso il corpo, prima ancora che attraverso lo spirito o la mente.
La tua visione dell’artista?
Tutti gli artisti dovrebbero essere versatili, polimorfici. Nel senso che un artista sclerotizzato nella sua visione del mondo non sono sicuro che possa dirsi un artista. Magari sono studiosi ostudiose, specialisti in qualcosa, ma gli artisti sono in riverberazione con la società e la società cambia in continuazione. Io mi dichiaro polimorfo, versatile.
Compositori a cui ti ispiri?
Ci sono due artisti che mi ispirano del passato, da cui traggo una grande ispirazione: uno è Mozart, morto talmente giovane che ha avuto pochi cicli per la sua musica. Quindi non ha avuto tempo di modificarsi come avrebbe sicuramente fatto. L’altro è Stravinsky che ha vissuto molti anni. In effetti lui è il classico esempio di artista polimorfo.
Altri artisti contemporanei viventi che ammiri?
Degli artisti contemporanei viventi, uno che fa parte delle arti grafiche è Bill Viola. Non è musicista, fondamentalmente fa video. Nell’ambito della musica è Björk, sicuramente l’artista donna a cui mi ispiro di più. Facciamo musica molto diversa, ma la osservo molto, la studio, la ascolto perché mi appassiona e l’ammiro. Un altro è il francese Pierre Jodlowski, il più vicino alla mia sfera di comportamento della musica scritta, detta contemporanea. Ha la mia stessa età, siamo nati nel 1971. Jodlowski lavora in particolare su intermediazione, informatica musicale, messa in scena, immagini e arti interattive.
In che modo hai realizzato il progetto per la Maison Chanel che hai presentato all’inizio di quest’anno 2020?
Nel 2018 ho fatto una residenza da Chanel, durante la quale ho composto Quartetto n.5. Tra il 15 e il 16 febbraio 2020 ho realizzato a Tokyo la performanceBodyscore – La firma dell’anima – Chanel – 2020 – Giappone, dove ho esibito il Quartetto numero 5, scritto sui corpi nudi di più di 20 donne e uomini giapponesi che ho incontrato sul posto. In realtà lo avrei scritto su una cinquantina di persone perché il pezzo era piuttosto lungo e volevo riscriverlo più volte per correggerlo. A volte mi capita di scrivere la stessa composizione su quattro o cinque persone diverse.
Ci siamo conosciuti a Roma, quando hai presentato Identigrafie alla Galleria d’Arte Contemporanea Contact. Quali “passeggiate” artistiche hai concretizzato dal 2018?
La prima mondiale della mostra Identigrafie è stato il risultato di un decennio di sperimentazione e più che un approdo. È stato il punto di partenza di un più ampio programma di attività che ha raggiunto l’apice quest’anno a Tokyo. Durante tutto il percorso della mostra è stato possibile ascoltare alcune delle mie opere musicali rappresentate nelle immagini fotografiche delle partiture umane in mostra.
Hai presentato una composizione musicale interattiva anche al Grand Palais di Parigi
Effettivamente tra aprile e luglio 2018 nell’ambito di Artistas&Robots ho presentato al Grand Palais di Parigi il mio progetto Argo basato su una composizione musicale interattiva che reagisce al mio respiro in tempo reale attraverso un sensore che ho portato con me 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana. Cioè da ormai circa tre anni io vivo con questo sensore che prende in continuazione la mia respirazione e la trasforma in musica. Questo lo posso fare solo col computer, ovviamente. Quindi il computer lo uso laddove è necessario.
Cosa pensi degli artisti che seguono le tendenze?
Io diffido molto delle tendenze. Ho visto compositori, compositrici scrivere in un certo modo la musica perché era quella che tirava, trainava il pubblico in quel momento. Ho visto musicisti in generale adottare dei modi di apparire sul palcoscenico perché andavano di moda in quel momento. Io non ho mai creduto alle mode perché non sono definite veramente dagli artisti, sono definite dagli agenti degli artisti, di quelli che vendono. Certo che un artista è felice quando vende perché è più conosciuto e guadagna più soldi. Quindi le produzioni possono essere più importanti, la notorietà fa piacere a chiunque, il plauso del pubblico. Cioè, quando qualcosa risponde alle tendenze significa che c’è più pubblico. Ma non è quello che ho scelto io. Io non ho mai scelto di fare la musica che faccio perché voglio piacere agli altri o perché cerco l’applauso del pubblico o perché cerco solo l’aspetto economico. In tal caso avrei fatto una musica diversa, una musica che segue le mode, che magari si identificherebbe con un genere già conosciuto, come pure delle estetiche. Di conseguenza perché spaccarsi la testa a trovare qualcosa di personale, di autentico, di individuale, perché possa accedere alla trascendenza?
In che modo?
Tramite la mia musica io sono alla ricerca permanente di trascendenza che non è soggetta a mode. Non può esserlo. Quindi, come faccio a sbarazzarmi delle mode? Di fatto non ho mai aderito a una moda. Anzi è successo per stranezza del mondo che quello che facevo – soprattutto negli anni novanta – un certo tipo di musica basata su alcuni calcoli fosse anche andata di moda. La mia vita è una vita di ricerca permanente sulla trascendenza, sul rapporto tra l’esistenza e ciò che va aldilà dell’esistenza o tra l’esistenza e la spiegazione dell’esistenza stessa.