Il titanismo nella musica di L. van Beethoven: in cammino verso la Vera Gioia

di Francesco Pacilé

 

“Noi, esseri finiti, personificazioni di uno spirito infinito,
siamo nati per avere insieme gioie e dolori;
e si potrebbe quasi dire che i migliori di noi
raggiungono la gioia attraverso la sofferenza.”

Ludwig van Beethoven

Ludwig van Beethoven, 2019 – Alejandro Segui Couzo


      In Principio Dio creò il cielo e la terra.

Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu.

Le prime parole della Genesi rievocano un abisso, caotico e insondabile, dal quale proveniamo e siamo stati chiamati alla Vita e a cui alcuni eventi sembrano riportarci, come sentinelle di Morte. Solo pochi riescono a sopravvivere, solo qualcuno riesce ad attraversare nuovamente il Tartaro verso una nuova creazione, verso un rinnovamento esistenziale profondo, verso una nuova Luce. Bisogna essere Titani, forse, per compiere tale impresa. O semplicemente uomini. Uomini, forse, accompagnati dal fuoco incandescente donatoci da un Titano: la musica.

La musica è il Titano. Il Titano è la musica.

Cadreste in errore se pensaste immediatamente alla celeberrima Sinfonia n. 1 di Gustav Mahler presentata con questo sottotitolo ad Amburgo nel 1893; in realtà il riferimento è ad un uomo che ha determinato il destino della musica otto-novecentesca fino al nostro presente e che si è innalzato fino a diventare una delle stelle più brillanti nel firmamento musicale di tutti i tempi.

La città tedesca di Bonn non sapeva, forse, di essere destinata a diventare indelebile nella memoria dei musicisti, dei musicologi e degli uomini in generale per aver dato i natali a Ludwing van Beethoven. E lui, come i sei figli di Urano e Gea che – secondo la leggenda esiodea – ingaggiarono una grandiosa lotta per la conquista dell’Olimpo ma furono sconfitti e precipitati da Zeus nel Tartaro, condusse una cruenta battaglia per la conquista dell’immortalità che gli costò moltissimo. Il musicista infatti si ritrovò rinchiuso in una sua personalissima katachthònia, una realtà tenebrosa e sotterranea pari a quella che confinò i Titani, punito come Prometeo per avere acceso una torcia dal carro di Elio ed aver donato il fuoco divino al genere umano: la Conoscenza.

Die Geschöpfe des Prometheus Op. 43 (Le creature di Prometeo), l’unico balletto pubblicato da Beethoven e composto tra il 1800 e il 1801 per la coreografia di Salvatore Viganò, allude a questa vicinanza spirituale tra il suo autore e il titano ribelle al volere di Zeus: la conoscenza è sì concessa all’uomo ma il prezzo da pagare resta incommensurabile. I maltrattamenti che da piccolo ricevette dal padre alcolizzato e incurante della famiglia, la progressiva perdita dell’udito che lo porterà alla totale sordità, l’isolamento sociale conseguente alla malattia che lo costrinse a comunicare quasi esclusivamente per iscritto tramite i famosi Konversationshefte (quaderni di conversazione), le delusioni amorose che lo segnarono in profondità furono solo alcune delle titaniche lotte che il compositore di Bonn condusse durante tutto l’arco della sua vita. Ma la musica fu onnipresente nel suo animo: la formidabile passione per i suoni non solo condizionò la sua esistenza ma cambiò per sempre la storia della musica.

La sua indelebile impronta si è fissata su tutti i generi musicali da lui affrontati, ma è la sinfonia ad aver raccolto in pieno l’eredità beethoveniana: i nove capolavori sinfonici da lui donati all’umanità sono il suo testamento spirituale. Lo spirito rivoluzionario e gli ideali repubblicani di eguaglianza, libertà, fraternità trovano una realizzazione musicale nella partitura della Sinfonia n. 3 in Mi bemolle maggiore Op. 55 composta tra la fine del 1802 e l’inizio del 1804; essa è ispirata, dedicata e intestata originariamente alla figura di Napoleone Bonaparte. Ma, quando il condottiero si proclamò imperatore, Beethoven ebbe uno scatto d’ira – secondo la testimonianza di Ferdinand Ries, allievo, amico e biografo del compositore – e stracciò il frontespizio della partitura gettandolo per terra: nella sua visione degli eventi un nuovo tiranno era sorto, pronto a calpestare tutti i diritti dell’uomo assecondando solo la sua ambizione di potere.

È però in seguito allo scoppio della guerra franco-austriaca del 1805 che Beethoven vide in sé prevalere i sentimenti patriottici su quelli rivoluzionari: l’edizione a stampa della Sinfonia, risalente al 1806, maschera il riferimento esplicito a Bonaparte recando l’incisione “Sinfonia eroica […] composta per festeggiare il sovvenire di un grand’Uomo”. Il termine “sovvenire” vuole indicare molto probabilmente la memoria celebrativa di un eroe, anzi di un ideale di eroe, titano e ribelle, che per un’astuzia della Ragione e per un breve arco di tempo si era incarnato in Napoleone prendendo su di sé e trainando le redini della storia del mondo.

La Sinfonia n. 3 è indicata come l’origine del “secondo stile” così definito nella tripartizione delle opere di Beethoven effettuata dal musicologo ottocentesco Wilhelm von Lenz, in cui i tre stili corrispondono ad altrettanti periodi biografici: il “primo” (1770-1802), il “mediano” (1803-1814) e il “tardo” (1815-1827). Fu proprio nel 1802, infatti, che il compositore stesso parlò di una “nuova via” intrapresa con la Sonata op. 31 n.2 e con la stessa Sinfonia Eroica: le composizioni scritte in questo periodo infatti sono le più celebri, quelle che più si accostano al mito di un Beethoven che – nuovo Prometeo – dona un potentissimo messaggio morale al suo pubblico, rappresentato dall’umanità intera, costituendo una novità assoluta in un panorama musicale prima interessato solo alla realizzazione di buoni manufatti musicali per l’esecuzione concreta più che a un progetto compositivo di ampio respiro. La terribile lotta ingaggiata con la vita stessa può condurre da una profonda oscurità alla luce, dalla sofferenza alla gioia, come è testimoniato dal viaggio intrapreso nell’animo del compositore attraverso la Sinfonia n. 5 in Do minore Op. 67 che termina con un trionfante e luminoso quarto movimento in maggiore.

Possiamo includere tra le maggiori opere del “secondo stile”, quello eroico e titanico, anche le sinfonie dalla Terza all’Ottava – ricordiamo la suddetta Sinfonia n. 5 basata interamente su un motivo musicale di quattro note, la Sinfonia n. 6 detta Pastorale e la Sinfonia n. 7 definita da Richard Wagner come “apoteosi della danza” ne L’opera d’arte dell’avvenire – le ouvertures ai drammi di Coriolano e Egmont (con i loro suoni terribili e drammatici), il Quarto e il Quinto Concerto per pianoforte e orchestra (questo chiamato Imperatore), il Concerto per violino e orchestra, l’opera Fidelio, alcune delle sue sonate per pianoforte e i Quartetti per archi op. 59 dedicati al conte Rasumovskij. In ognuna di queste opere, il titano si erge contro i dolori del mondo attraverso una perenne battaglia che si manifesta musicalmente come lotta di temi, un agonismo tematico estremamente esasperato. I due temi musicali – il primo alla tonica e il secondo solitamente alla dominante – sono sempre contrastanti, come personaggi di un’opera in perenne lotta tra di loro fino allo scioglimento finale della trama. È la lotta che Beethoven percepiva fuori e dentro di sé, la sua volontà di ergersi sopra gli eventi e sopra i dolori, sopra la malattia e l’isolamento in quel Tartaro metaforico, sopra le incomprensioni dovute al suo intrattabile carattere e le delusioni amorose, fino a toccare una saggezza superiore destinata ad essere tramandata al genere umano attraverso la sua musica.

Il culmine di questo viaggio simbolico verso l’illuminazione interiore è raggiunto con la Sinfonia n. 9 in Re minore per soli, coro e orchestra Op. 125 che segna un punto di non-ritorno nella storia della musica. Dopo le composizioni del periodo “eroico” – concentrate negli anni 1803-1808 – si giunge finalmente al “terzo periodo” di Beethoven (1815-1827), in cui rientra la famosissima e ultima Sinfonia n. 9. Nel suo quarto movimento, dopo una frase musicale affidata ai violoncelli e ai contrabbassi, l’orchestra ripropone gli incipit dei tre movimenti precedenti che vengono però interrotti bruscamente dagli archi gravi come se questi richiedessero qualcosa di diverso da un punto di vista strettamente musicale. Allora l’orchestra propone una melodia che sembra discendere dagli inni patriottici della rivoluzione francese e questa viene subito confermata dai violoncelli e dai contrabbassi. Accade qualcosa di inaudito nella storia della musica sinfonica: fa il suo ingresso la voce di un baritono che intona il testo di Friedrich Schiller Ode alla gioia, dopo eseguito dal coro e dagli altri solisti. Beethoven canta attraverso il poeta e filosofo tedesco la fratellanza universale: la gioia può essere raggiunta dall’umanità solo quando gli uomini si riconosceranno come fratelli e si ameranno vicendevolmente. È il sommo messaggio che Beethoven lascia in eredità al genere umano: il novello Prometeo ha accesso nell’ombra la scintilla divina per rivelare i segreti ai mortali, il titano giunge all’illuminazione attraverso il testo del poeta e comunica la sua saggezza mediante l’arte dei suoni, la voce – proibita all’interno della sinfonia come proibito era il gesto agli occhi di Zeus – penetra potentemente all’interno dell’orchestra per svelare la somma verità. Gli uomini devono riconoscersi come fratelli e questo è il cuore autentico di ogni possibile felicità duratura.

Nella sua personale battaglia per l’immortalità, lo spirito del compositore di Bonn attraversò il tempo; la sua eco fu percepita, con timore e reverenza, dalla generazione successiva di musicisti (tra cui occorre ricordare Mendelssohn, Schumann e Brahms). La sinfonia aveva raggiunto un livello di perfezione ideale difficilmente superabile, i suoni si erano trasformati in parole e avevano comunicato tutto il comunicabile. Cosa “dire” in musica ancora, dopo un così mirabile esempio? Quel titano si erse potentemente non solo in vita, ma anche dopo la morte che lo aveva consacrato come modello irraggiungibile e insuperabile. Lo spirito beethoveniano ha segnato e influenzato non solo il XIX e il XX secolo, ma è giunto fino ai giorni nostri – all’alba del nuovo millennio – immacolato nella sua potenza. È formidabile, ad esempio, il nesso tra il mito beethoveniano e il cinema in cui occorre fare una netta distinzione tra le colonne sonore che utilizzano le musiche del compositore e i film che si occupano della sua vita in maniera più o meno romanzata.

Dal punto di vista più interessante delle colonne sonore, le pellicole che hanno impiegato le composizioni di Beethoven sono oltre duecentosessanta ma uno degli esempi più celebri è rappresentato dal film Arancia meccanica (1971) di Stanley Kubrick dove il violento protagonista Alex DeLarge è un appassionato del musicista di Bonn tanto da ascoltare ogni sera il secondo movimento (Scherzo) della Sinfonia n. 9 al termine delle sue “bravate”. Lo stesso personaggio viene sottoposto alla cosiddetta “Cura Ludovico” per imparare a reprimere gli impulsi violenti sviluppando una forma di disgusto per i barbari atti di cui si era macchiato le mani e l’animo: tale “cura” consiste nel visionare ininterrottamente filmati di scene raccapriccianti e accompagnate dai suoni beethoveniani, come ad esempio il film ambientato in un campo di concentramento e messo in contrasto con l’Inno alla gioia della Sinfonia n. 9. Alex non riuscirà più ad ascoltare il capolavoro di Beethoven senza provare un certo panico misto a un senso di nausea.

Un altro celeberrimo esempio è contenuto nel film d’animazione Fantasia (1940) di Walt Disney dove la Sinfonia n. 6 “Pastorale” viene impiegata per rappresentare una scena mitologica ed idilliaca: ancora una volta il modello beethoveniano viene associato al mito e i suoi suoni si rivestono di una “classicità” che attraversa il tempo e lo spazio andando a dipingere musicalmente il divino. Nel rifacimento moderno del film d’animazione, Fantasia 2000, è il primo movimento della Sinfonia n. 5 ad accompagnare la lotta perenne tra il Bene e il Male, rappresentati da farfalle rosse e nere: è la musica a possedere in sé la scintilla dell’Eterno, qui reso attraverso la dicotomia bene-male da sempre presente nella storia dell’umanità. È Beethoven ad essere “titanicamente” presente nel tempo attraverso la sua arte.

Nella nostra cultura, il compositore tedesco è percepito come un gigante insuperabile nell’arte dei suoni, un profeta che ha saputo lasciare all’umanità una profonda verità: la felicità e la fratellanza sono gemelle e devono essere perseguite in una costante lotta contro gli ostacoli, pur al costo di immani sacrifici, per tentare di raggiungere la Vera Gioia. È in tal modo che desideriamo ricordare il Titano di Bonn nel duecentocinquantesimo anniversario della sua nascita: nonostante la fragilità che la condizione umana comporta, lui, attraverso la sua musica, è stato insuperabile ed eterno.

Bibliografia

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Sitografia

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  • Quattrocchi Arrigo, Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore, op. 55 “Eroica”, testo tratto dal programma di sala del Concerto dell’Accademia di Santa Cecilia del 22 Gennaio 2000, pubblicato su “L’Orchestra Virtuale del Flaminio”, 1 Aprile 2016, https://www.flaminioonline.it/Guide/Beethoven/Beethoven-Sinfonia3.html, consultato il 5 dicembre 2020.
  • Segheloni Ivano, Ludwing van Beethoven: la musica in lotta con la vita, articolo pubblicato su “Artspecialday”, 16 Dicembre 2016, http://www.artspecialday.com/9art/2016/12/16/ludwig-van-beethoven/, consultato il 3 Dicembre 2020.

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