L’amor che move il sole e l’altre stelle

di Ilaria Bevere

Chambelona, 2015 – CARREGOITIA

“L’amor che move il sole e l’altre stelle”

È con questo verso che Dante conclude la Divina Commedia, racchiudendo qui il significato dell’intera opera: l’amore è il meccanismo del mondo e della vita.

Chi potrebbe mai contraddire tale affermazione? Nessuno, ne sono certa.

L’amore ha ispirato e ispira ogni forma d’arte e d’espressione. Dalla musica alla poesia, dalla pittura alla scultura, dalla danza al teatro, sempre e in ogni opera, il denominatore comune è l’amore.

Perché?

Perché l’amore è universale.

“Ma che cos’è l’amore”? Quante volte capita di chiedercelo? E quante volte non riusciamo a rispondere senza perderci in una raffica di spiegazioni contorte?

Sebbene non si possa definire, non appena ci troviamo di fronte ad esso, o a ciò di cui è stato motore, lo riconosciamo perché chiunque, in una o più delle molteplici forme in cui si manifesta, ne è stato travolto.

A me capita continuamente di innamorarmi. Di uno sguardo, di un cielo stellato, di un odore che sento per strada, di una risata o della pelle vellutata di un bambino. L’amore mette in subbuglio i sensi e fa eclissare la ragione, per pochi istanti o per mesi, anni.

Si dice che “il primo amore non si scorda mai” ed è davvero così. Deve essermi successo quando ho infilato il primo tutù all’età di tre anni e sono stata catapultata sul palco. Deve essere stato in quel momento, sotto quelle luci, di fronte ad un pubblico silenzioso, che qualcosa si è acceso e non ha smesso di brillare per anni, finché il tutù è diventato un costume di scena.

Mi domandano ancora cosa mi spinge nella mia professione, cosa mi ha convinto a lanciarmi in un lavoro tanto complesso, dove è difficile emergere. Dove resta viva la prima paura, quella per cui non sai se sei capace o se lo sarai mai.

Non è il successo, non mi interessa il “voglio diventare famosa”.

La sola risposta possibile è nella passione, nel fuoco che sento ardere dentro quando mi trovo di fronte alla bellezza di un testo a cui devo dar voce o di una scena a cui devo dar vita. La risposta è nelle molteplici sensazioni che nascono in una sala prove dove sudi, cadi e ti rialzi con i tuoi compagni di lavoro. La risposta è in quella morsa che mi sembra di sentire all’altezza della pancia, subito sotto le costole, prima di entrare in scena. È quando, da spettatrice, nel momento degli applausi, sento gli occhi gonfiarsi di lacrime perché so quanto sforzo, quanta fatica, quanti fallimenti ci siano dietro al risultato che sto applaudendo.

Se passione, emozione, fatica, dedizione, sconforto, ostinazione, coraggio, delusione, paura, sono solo alcune delle parole con cui posso definire l’amore, la mia risposta è l’amore in ciò che faccio.

Una potenza devastante che, quando succede, ti permette di dare anima e corpo a qualcuno, a qualcosa che senti di amare incondizionatamente, senza averlo scelto. Non l’hai scelto, ma non riuscirai ad evitarlo. Perché l’amore accade e basta.