La storia dell’arte come promotrice della memoria
di Luna Scala
Qualche giorno fa una ragazza di tredici anni mi ha chiesto perché a scuola dovesse studiare Michelangelo, morto da quasi cinque secoli e da lei non molto apprezzato né come pittore, né come scultore, né come architetto. A me, che studio storia dell’arte all’università, sono venute in mente decine di ragioni per cui fosse importante conoscere una delle personalità più importanti di tutta la cultura artistica moderna, ma nessuna di queste l’ha convinta.
Questo scambio mi ha fatto riflettere e mi sono chiesta per quale ragione continuiamo a coltivare la memoria di artisti e di opere che appartengono a un passato che spesso appare troppo lontano dalla nostra realtà e che apparentemente non possono offrire alcuna risposta alle sfide che affrontiamo nel presente. Perché nel 2019 abbiamo celebrato il quinto centenario della morte di Leonardo e nel 2020 quello della dipartita di Raffaello? Perché continuiamo a studiare le loro opere e la nostra ricerca, anziché fornire risposte definitive ai quesiti che ci siamo posti, ne alimenta sempre di nuovi in una dialettica che sembra non avere fine?
Non ho risposte, ma ciò che so è che la Storia dell’arte ha avuto e continua ad avere il grande merito di aver contribuito a dimostrare che la memoria del passato non necessariamente deve tradursi nel ricordo passivo, nella copia pedissequa, ma può essere coltivata in modo consapevole dando vita a soluzioni inedite. Dall’Antichità fino all’età contemporanea la storia dell’arte si è nutrita delle invenzioni o, addirittura della materia, delle epoche precedenti, rinnovandone la memoria, come mostrano, ad esempio, il riuso di colonne e capitelli antichi nelle basiliche paleocristiane, oppure la scelta operata da Arnolfo di Cambio nel 1282 di lavorare una scultura romana del II secolo per realizzare la figura della Vergine nel Monumento funebre del cardinale de Bray all’interno della chiesa di San Domenico a Orvieto, o ancora lo stesso Michelangelo il quale già a vent’anni rielaborava in modo prepotentemente personale i modelli dell’Antichità, Giotto – che alla fine del Quattrocento ormai più nessuno studiava – Masaccio, Donatello, Filippo Lippi e le invenzioni degli artisti a lui contemporanei.
A distanza di qualche giorno se una ragazza di tredici anni mi chiedesse di nuovo per quale motivo si debba studiare Michelangelo a scuola risponderei che, aldilà delle date, dei nomi e delle iconografie che probabilmente dimenticherà, da Michelangelo, come dalla maggior parte degli artisti, bisognerebbe imparare quella capacità di valorizzare la memoria del passato, o meglio dei molteplici passati, facendola propria, rielaborandola in modo autonomo e cercando in essa degli stimoli per affrontare le sfide della realtà in cui si vive.