Ricordati di ricordare
di Giuliana Costantini
Pico della Mirandola e lo smemorato di Collegno: gli estremi, quando la memoria è straordinaria o quando, invece, viene a mancare, ma quale memoria?
Possiamo con questa parola definire la capacità di trattenere in noi la traccia di un evento, di un’immagine, di un suono, semplicemente di un colore e più spesso di qualcuno o di qualcosa che vogliamo celebrare. La memoria è l’uomo e non a caso gli antichi ponevano la sua sede nel cuore, mentre molteplici sono le accezioni del termine: la memoria religiosa che nel calendario liturgico romano indica in quale giorno si debba celebrare un Santo, la memoria collettiva ovvero un insieme di ricordi di un vissuto da parte di una collettività attualmente ancora presente (si pensi all’Olocausto), la memoria di un computer nell’elaborazione elettronica di dati con lo scopo di conservarli e una memoria così drammaticamente “attuale” quella immunitaria che permette di riconoscere una sostanza estranea all’organismo per reagire più rapidamente.
Mnemosine era la dea della memoria e madre delle nove Muse, tenuta quindi in gran considerazione e spesso identificata con la gratitudine o con il ricordo.
Henry Bergson definisce appunto la memoria come “lo stratificarsi duraturo dei ricordi”; Borges nel famoso racconto “Funes o della memoria” condanna il povero protagonista, Ireneo, a ricordare troppo, dopo essere stato scaraventato a terra da un cavallo. L’eccessiva memoria, in questo caso, trasforma un giovane appena diciannovenne in particolare individuo che “apprende” ogni testo in un attimo, ma che forse non ragiona e soprattutto non è più felice.
Siamo veramente vivi se ricordiamo o vogliamo essere ricordati. Non per niente la “damnatio memoriae” era una pena pesantissima, tentando di cancellare per sempre l’esistenza del condannato.
È una memoria che molti uomini illustri decidono di scrivere per tramandare la propria esistenza, almeno quello che di essa ritengono debba essere ricordato ed è ancora a memoria di uomo che un fatto o una tradizione o perfino una calamità naturale viene così citata per significare che la nostra umanità ricordi e c’è in questa frase un senso di implicita pochezza; eppure, abbiamo acceso il fuoco e affrontati i dinosauri.
Ricordati dunque di ricordare, ma anche ricordati di dimenticare: in realtà niente di tutto questo dipende da noi, quando volontà e memoria si scontrano la volontà sembra vincere, ma solo in apparenza, perché è la memoria che prevale e si affaccia alla mente, non solo quando noi vogliamo, ma anche quando non vogliamo e non possiamo fuggire.
Melodiosa e semplicissima in apparenza, la memoria è dunque una delle parole più complesse del nostro linguaggio, con un fascino così misterioso cui nessun uomo può sottrarsi.