L’architettura e memoria

di Francesca Borea e Giulia Pederzini

intervento di Clab Architettura, Prendersi cura, Wunderkammer 2020

“Un Paese che ignora il proprio ieri non può avere un domani. La Memoria è un bene prezioso e doveroso da coltivare. Sta a noi farlo.”

Con queste parole Liliana Segre riflette sull’importanza della memoria ai giorni nostri.

Ricordare, ripercorrere e conoscere le tracce del nostro passato, risulta essenziale per la formazione e il riconoscimento della propria identità.

Nell’epoca del digitale, in cui ogni tipo di informazione è facilmente accessibile ed istantanea, si rischia di perdere la capacità di custodire quanto acquisito.

La memoria, dunque, è la capacità di conservare e di rievocare quanto si è appreso e se questa attitudine innata non viene coltivata, rischiamo di perdere quello che la nostra esperienza, o ancor più la nostra storia, ci può insegnare.

I ritmi contratti della vita moderna stanno inevitabilmente condizionando le nostre facoltà mnemoniche: domandiamo infatti ai supporti tecnologici di raccogliere tutte le informazioni che ci interessano, illudendoci del fatto che le memorie virtuali possano sostituire quelle umane.

Lo ricorda Umberto Eco, nella lettera rivolta al nipote[i], in cui sottolinea l’esigenza di invogliare i giovani ad allenare la propria memoria, fuggendo da un’epoca digitale che, al contrario, incentiva una conoscenza istantanea e superficiale.

 

Forse non tutti sono consapevoli che il rapporto con la nostra memoria è ambiguo e conflittuale: è affascinante sapere come l’essere umano, per autodifesa, tenda a rimuovere e respingere tutto ciò che risulta “scomodo”.

Attenendosi a studi scientifici, i ricordi più dolorosi vengono spesso rimossi e respinti dall’individuo, per paura di doversi confrontare con questi. Dunque, la rimozione del trauma personale è una reazione psicologica naturale; invece, può risultare pericoloso, a livello collettivo, tentare di cancellare le tracce del passato, frammenti della nostra memoria, ovvero della nostra identità. I movimenti negazionisti, spesso mossi dall’inconsapevolezza dei fatti o da meccanismi di difesa, tendono a rifiutare o rimuovere la memoria di ciò che temono maggiormente, arrivando a negare persino fatti storici accertati.

Per questo, oggi più che mai, è necessario investire sulla divulgazione e la trasmissione dei fatti attraverso atti di partecipazione e di condivisione, al fine di comprendere consapevolmente ciò che è accaduto e dunque, poterlo memorizzare.

Lo stato di emergenza di questi ultimi mesi ha nettamente destabilizzato e ridefinito gli equilibri del vivere contemporaneo sia nel breve, che nel lungo periodo.

Vivere sospesi per un momento, ha spinto ad interrogarsi su come organizzare e come investire quell’indefinito tempo a disposizione, alimentando in ognuno di noi la consapevolezza dell’unicità del momento storico presente.

Esempi passati testimoniano come un tempo, nelle realtà più elitarie, intere stanze delle antiche dimore, fossero dedicate alla conservazione e alla raccolta indistinta di esemplari rari o bizzarri. Queste collezioni, sensibilmente influenzate dal gusto e dalle scelte del proprietario, evocavano il lustro e la cultura personale, ma soprattutto si prestavano come luoghi di ritiro designati alla contemplazione e alla riflessione.

Così nasce Wunderkammer, un’interpretazione contemporanea della ‘camera delle meraviglie’, che promuove l’atto del collezionare come strumento di riflessione e di memoria.

Il progetto nasce dalla volontà di interrogarsi sulle possibili ripercussioni che un evento straordinario, come quello in corso, potrà avere in campo architettonico.

Architetti, artisti, scrittori, psicologi e professionisti sensibili al tema, sono stati invitati a condividere il loro pensiero sui valori della resilienza e della partecipazione, riassumendolo in un’immagine e un testo, per promuovere un’architettura più consapevole in grado di qualificare lo spazio in cui opera.

Collezionare pensieri e testimonianze, esporli in una “teca” virtuale accessibile e consultabile a tutti, porta ad interpretare ogni singolo contributo come una testimonianza utile alla ricerca e propedeutica allo studio di nuove soluzioni architettoniche.

Improntato sul confronto intergenerazionale e interdisciplinare, il progetto risulta essere un ottimo supporto inedito per una memoria collettiva, testimone di un vissuto domestico che ha messo in evidenza i limiti dei canoni consolidati dell’abitare contemporaneo.

Il lungo periodo di isolamento domestico induce a riflettere sul rapporto degli individui con lo spazio, con il tempo e con i loro simili: i principii della prossemica, ovvero lo studio delle distanze interpersonali, indubbiamente verranno alterati e sconvolti con conseguenti ripercussioni ancora difficili da anticipare.

Sebbene la lontananza e la distanza sociale imposta dallo stato di emergenza abbia rafforzato alcuni aspetti della nostra umanità, con uno sguardo sociologico-esistenziale verso l’imprevedibile momento storico, è giusto interrogarsi sulle distanze sociali e sulle conseguenze che queste comportano.

“Come cambierà il modo di porci nello spazio e di organizzarlo, come cambieranno le distanze spaziali connesse all’interazione comunicativa interpersonale? Come cambierà l’analisi della gestualità? Quale sarà la percezione della “territorialità”, del “sovraffollamento” e le conseguenze di questi due fattori sull’organismo? Le distanze “intime” e “personali” aumenteranno sino a coincidere con quelle “sociali” e “pubbliche”?”[ii]

Può davvero un evento straordinario come questo stravolgere i convenzionali modi di vivere, di interagire, di aggregarsi, di spostarsi, ormai consolidati nella memoria collettiva? E quanto tutto questo influenzerà le nostre architetture, luoghi custodi di memorie?

Riportando le parole di Victor Hugo, in Notre-Dame de Paris[iii], l’architettura viene descritta come «il gran libro dell’umanità», necessaria alla conservazione della memoria collettiva e dei valori identitari di una comunità.

In una società sempre più contratta, che sottrae spazio e tempo alla complessità, sorge spontaneo interrogarsi sulla responsabilità etica e sociale dell’architetto.

L’architettura, dunque, ha un ruolo determinante sull’identità culturale collettiva, può preservare la memoria dei luoghi con un approccio filologico al passato, o alterarne il ricordo, cancellandone le sue tracce.

Facendo riferimento alle architetture di emergenza, citate da Clab Architettura per Wunderkammer, ovvero quelle strutture temporanee concepite per proteggere il patrimonio artistico durante la Seconda guerra mondiale, risultano essere sintesi perfetta di tecnica e bellezza.

In questo l’architettura trova il suo significato, ovvero nel preservare e conservare le tracce di un passato, necessario a coniugarsi con il presente e comprendere il prossimo futuro.

 

Certe che questo avvenimento storico straordinario influenzerà la memoria individuale nell’immediato, confidiamo nel fatto che la memoria collettiva verrà, invece, preservata nel tempo.

‘Dobbiamo salvare i condor, non tanto perchè abbiamo bisogno dei condor, ma soprattutto perché, per poterli salvare dobbiamo sviluppare quelle qualità umane di cui avremo bisogno per salvare noi stessi’. Gratuità e Bellezza, precisa Jean-Marie Pelt.[iv]

[i] Umberto Eco, Caro nipote, studia a memoria, L’Espresso, 03 Gennaio 2014

[ii] Sergio Bettini, per Wunderkammer, 2020

[iii] Victor Hugo, Notre-Dame de Paris, Parigi,1831

[iv] MacMilan, citato da Serge Latouche in La scommessa della decrescita, Feltrinelli Editore Milano, 2007