Chiara Zoppolato: Libertà, Danza e Bellezza, sostantivi al femminile per chi sceglie di “essere”
Da allieva prediletta di Jia Ruskaja a presidente della Fondazione dell’Accademia Nazionale di Danza: Chiara Zoppolato, una donna dei nostri tempi
di Laura Sciortino
Dirompente, briosa, cortese: Chiara Zoppolato prima di essere una danzatrice, un’insegnate e la presidente della Fondazione dell’Accademia Nazionale di Danza, è una donna che ingloba tutto questo, anche a corredo di altro. Ecco che, dopo un incontro a tu per tu con lei –sì, perché Chiara ci tiene ad abbattere fin da subito barriere di consueti formalismi – vorremmo presentarla definendola innanzitutto una donna dei nostri tempi, una donna moderna. Moderna come chi costruisce un senso di sé partendo, innanzitutto, da se stessa, dalla capacità di osservare il mondo prendendolo come fonte di ispirazione per la costruzione di un’identità e non come la sterile scenografia di un palcoscenico in cui esibirsi da protagonista.
Dobbiamo ammetterlo, affermarsi come donna non è mai stato semplice, non lo è perfino adesso che vediamo Kamala Harris alla vicepresidenza degli Stati Uniti d’America o la trentunenne Beatrice Venezi, la più giovane «Direttore» d’orchestra d’Europa che non teme il giudizio di anteporre il suo talento alla definizione di una professione “al maschile”. Modelli come questi dimostrano che le “difficoltà” sociali non escludono le possibilità di affermarsi, lasciando prima di tutto un segno nella definizione di una storia.
Una doverosa premessa, questa, che permette di introdurre la storia di Chiara Zoppolato la persona che, senza timori di azzardate definizioni, possiamo inserire all’interno di un discorso al centro del quale gravita l’evoluzione al femminile. Chiara rappresenta per noi la voce di una doppia testimonianza di quel “gentil sesso” da prendere come esempio, perché attraverso le sue parole scopriamo la sua crescita artistica e personale, ma anche le caratteristiche di un’altra donna imprescindibile quando parliamo del suo trascorso: Jia Ruskaja, la fondatrice dell’Accademia Nazionale di Danza.
Ed è proprio qui, dalla Biblioteca dell’Istituzione romana che la Zoppolato, racconta una storia iniziata molti anni prima tra quelle stesse mura dell’Aventino. Il suo percorso inizia quasi per caso, quando, da un palchetto del teatro dell’Opera di Roma, scopre un’arte che la accompagnerà tutta la vita: la danza. Combattuta se scegliere di acquistare un’arpa per avviarsi allo studio della musica o di iscriversi ai corsi della vicina Accademia dove si formavano giovani danzatrici, sceglie di provare a ballare (con grande sollievo dei genitori che – ci confessa – non avrebbero saputo dove collocare in casa l’elegante, ma ingombrante, strumento a corde).
Da quella, seppur inconsapevole scelta di bambina, ha definito tutta la sua vita, iniziando a studiare nel luogo che sarebbe diventato tanto il punto di riferimento della sua formazione, quanto – per dirla alla Battiato, a proposito di musica – il centro gravitazionale in cui avrebbe avviato e maturato la sua carriera di docente (iniziata come insegnante di teoria della danza, poi di tecnica della danza). Sempre qui, a Largo Arrigo VII, la ritroviamo anche oggi a ricoprire il ruolo di vertice della Fondazione dell’AND.
Chiara racconta di quanto la formazione in Accademia si legasse a un concetto educativo a tutto tondo, diversamente dall’impostazione odierna (dovuta anche al fatto che oggi il percorso è diventato di stampo universitario). L’educazione accademica, ci spiega, «comportava una disciplina ferrea» in cui, fin dalla più tenera età, l’allenamento del corpo andava di pari passo con l’istruzione scolastica, senza tralasciare alcun aspetto, seppur, confessa, «non sono mai stata una persona troppo disciplinata, ho anche avuto 7 in condotta!». L’impronta forte di quegli anni era data dalla presenza della Direttrice Ruskaja una donna dall’ «enorme carisma» che sapeva abilmente combinare cultura, intelligenza e ammaliante bellezza. Era impossibile, ci spiega, ignorare la presenza magnetica della Ruskaja, una donna che riusciva a tenere testa a molti uomini, soprattutto quelli di potere.
Una bella rivoluzione, la sua, se si pensa a quale sovversione aveva innescato per l’affermazione di un’identità tutta femminile, lontana dall’essere semplicemente moglie e madre, ma donna in grado – addirittura – di esigere di pagare il conto ogni qualvolta andasse a cena fuori (e capitava praticamente ogni sera, «Jia Ruskaja andava sempre a mangiar fuori e tutte le volte voleva compagnia. Ma mai, e dico mai, ha mai accettato che qualcuno le pagasse la cena» racconta Chiara).
Parlare di questa figura ci serve per comprendere la formazione della nostra protagonista. Perché l’intento dell’allora Direttrice non era tanto quello di formare semplici interpreti o esecutrici della scena, quanto quello di mettere la danza al centro di una riflessione più ampia. Si pensi che anche la storica sede dell’Accademia era organizzata per essere un luogo in grado di “stimolare”, seppur inconsapevolmente, i sensi e l’animo delle allieve: il bello si respirava ovunque («persino il giardino era spettacolare, c’era un roseto meraviglioso. E il guardiano notturno lucidava i marmi fino a farli splendere»).
È da questo tipo di percorso fatto tanto di pratica fisica, quanto di rigore, conoscenza e spontanei stimoli alla bellezza che la Zoppolato definisce il suo personale concetto di essere artista, danzatrice, insegnante, ma soprattutto Donna. Ci spiega, infatti, che la Ruskaja prediligesse, per le sue allieve (lei era una delle predilette), lo studio con maestri che venivano da ogni parte del mondo, mentre «si studiava pochissimo con le insegnanti dell’accademia»; quest’apertura artistica e culturale voluta fortemente dalla direzione, se da una parte era regolata da massiccio rigore (poche riuscivano a completare il percorso di studi), dall’altra ha permesso a Chiara di rafforzare quello che oggi definisce come l’assoluto concetto di libertà. E per libertà intende proprio quel valore fondamentale per un interprete che, sottolinea, non può semplicemente «essere una macchina perfetta». E a quello stesso senso di libertà si riferisce quando parla della sua professione di docente che deve fornire ai suoi studenti gli strumenti per forgiare un percorso di vita “libero” in cui la danza può anche essere un “mezzo” e non solo il “fine”.
Oggi Chiara è la presidente della Fondazione dell’Accademia Nazionale di Danza, ente morale collaterale dall’AND nato per volere della Ruskaja nel 1963 per sostenere gli studenti più bisognosi ma anche molte dell’attività dell’Accademia. L’organismo oggi è profondamente cambiato rispetto agli anni in cui è nato e si è affermato, anche a causa di una serie di problematiche che si sono presentate a partire dagli anni Ottanta.
Ma sulla scia della grande eredità etica e morale lasciata tanto dalla Ruskaja quanto dagli anni di un’Accademia innovatrice, oggi sente come il bisogno di ricoprire questo ruolo di presidenza affinché la Fondazione possa tornare ad operare per gli obiettivi secondo cui era nata.
E qui torniamo alla definizione iniziale di donna dei nostri tempi, una donna moderna: Chiara Zoppolato si è saputa affermare non tanto raggiungendo degli obiettivi –banalmente- prefissati, quanto trovando compiacimento nel percorso che si è costruita mettendo insieme tutti i pezzetti di questo autentico racconto. La danza ha certamente avuto un ruolo dominante ma lungi dall’essere semplicemente scarpette da punta e tutù: ed è proprio in questo che si sprigiona un’inverosimile modernità, quella di prendere la danza come il punto di partenza per rivelare se stessi o, citando qualcuno che, non a caso, ritorna, uno –splendido- modo di essere…