Ascoltare
di Fabio Perugia
L’atto di ascoltare è erroneamente associato esclusivamente al nostro orecchio. La domanda da porsi è: potremmo ascoltare senza quest’organo? La risposta che dà il mondo ebraico è si. L’ascolto, al di là del significato che troverete sullo Zanichelli, ma che non vi appaga altrimenti non sareste qui, è qualcosa appeso tra la nostra anima e il nostro terreno. L’ascolto è tra cielo e terra. Come tutto, si potrebbe dire, ma in questo caso un po’ di più, secondo la visione del popolo che ha ascoltato direttamente da Dio i primi due Comandamenti (gli altri otto sono stati trasferiti da Mosè perché il popolo temeva di morire se avesse ancora udito la parola dell’Altissimo). Di più perché si può studiare il Mistero della vita e del Creato solo ascoltandolo, seppur non c’è rumore. Di più perché la prima frase che si insegna a un bambino recita Shemà Israel, Hashem Elokhenu, Hashem Echad, che significa: ascolta Israele, il Signore è il tuo Dio, il Signore è Uno. Qui il richiamo non è ad ascoltare un suono, bensì a contemplare, a rimembrare l’unicità di Dio e ciò che ti ha rivelato finora. Va detto un fatto, però: la regola impone che il versetto che abbiamo citato sia pronunciato due volte al giorno e ogni volta bisogna udire le parole di questa frase uscite dalla bocca. Dunque, non basta pensarle, né solo studiarle, a un certo punto è obbligo anche l’ascolto fisico. Così ecco che nel versetto che più di tutti si spinge verso l’alto nel descrivere il mistero dell’unità divina da cui tutto deriva nasce l’obbligo di compiere l’atto fisico dell’ascolto che si può concepire solo quaggiù in terra. Come a dire: va bene volare alto, va bene lo sforzo intellettuale e lo studio, ma poi ci vuole l’applicazione pratica. Senza l’applicazione pratica non si è fatto nulla, solo Accademia. Ascoltare è la sintesi tra ciò che è sopra di noi e ciò che va fatto sotto di noi.