“Pasajes de la memoria” con María Ángeles Vila
di Raffaela Neri
María Ángeles Vila è una artista spagnola che nel suo lavoro rielabora alcuni temi specifici legati al mondo femminile, come la vita domestica, gli affetti familiari, la maternità e l’accudimento.
Laureata all’Accademia di Belle Arti presso l’Università Politécnica di Valencia, dove ottiene anche un dottorato in incisione e il Cap (corso di abilitazione pedagogica). Vince una borsa di studio Erasmus presso l’Accademia di Belle Arti di Roma e la borsa di studio Leonardo da Vinci presso la romana Stamperia d’Arte l’Acquaforte di Luigi Ferranti.
Vive tra Roma e Valencia.
María Ángeles la tua tecnica preferita è l’incisione, molto particolare come scelta, però hai sperimentato diverse tecniche.
Sin da piccola ho avuto una forte passione per le arti plastiche, dipingo da quando avevo 10 anni, prima come autodidatta, successivamente studiando Belle Arti presso la Facoltà di Belle Arti di Valencia.
Il colore e le tecniche pittoriche sono state la mia passione iniziale, ho studiato e sperimentato tantissimo durante gli anni di formazione e poi, durante il mio dottorato ho scoperto l’incisione.
Questa tecnica di stampa antichissima risalente al VII secolo a.C, mi ha innamorato fin dalla prima puntasecca che ho realizzato.
Ho scelto l’incisione, per diversi motivi, ma credo che la sua difficoltà e il lungo processo che c’è Mdietro, siano stati i conduttori della mia ricerca. Mi sembrava meraviglioso poter disegnare una matrice in modo diretto o attraverso gli acidi, attendere le morsure, sgrassare, inchiostrare, bagnare la carta…stampare!
In tutti questi passaggi si poteva imparare qualcosa, bisognava essere pazienti e rigorosi e ti confesso che non sono mai state i miei punti di forza, allora è diventata una sfida.
Inizialmente la serialità mi affascinava, ma superato il periodo della ricerca della tecnica e forse anche un pochino annoiata dalla metodicità, la serialità è uscita di scena ed ho iniziato a sperimentare anche con le incisioni.
Una volta terminata la lastra, quello che dovrebbe essere un noiosissimo lavoro di riproduzione, si trasforma in una sperimentazione con il colore e ogni volta è una sorpresa, uno stimolo nuovo. Credo fortemente nel potere educativo degli errori e delle collaborazioni: mi è capitato, non di rado, di lavorare su matrici che all’inizio erano degli errori e che poi usandole come base per altri lavori o anche unendole con altre matrici, hanno avuto una nuova vita.
Nella mostra Pasajes de la Memoria, infatti, hai usato diverse tecniche: installazioni, libri d’artista, quadri.
Come ti dicevo ho sperimentato moltissimo, ed ognuna di quelle tecniche è stata parte importante del mio percorso formativo. Pasajes de la memoria, come dice il nome stesso, è stato prima di tutto un passaggio personale e artistico, se mai per un’artista i due elementi possano essere separati. Un passaggio nel quale la memoria ha giocato un ruolo fondamentale.
Un passaggio da una vita che si era svolta in certo un modo, ad una vita che poi si è svolta in modo diverso. In quel momento si sono chiusi dei capitoli molto importati della mia vita con delle perdite importanti e io avevo bisogno della memoria, di ricordare per comprendere da una parte e per trovare la forza di andare avanti dall’altra.
L’arte mi ha aiutata ad elaborare questo dolore profondo e per la prima volta ho sentito l’esigenza di esprimermi in modo meno astratto e più figurativo, coinvolgere gli altri in modo più diretto e condividere in modo più esplicito quello che avevo dentro.
Attraverso l’arte ho scritto il mio personale Diario della memoria in cui ho lavorato capitolo per capitolo con tutte le tecniche che fino a quel momento mi avevano accompagnato e che in vario modo mi hanno aiutato a conoscere me stessa, i miei gusti e le mie preferenze; a comprendere i miei limiti e la determinazione nell’andare avanti, ma anche nel capire quando si trattava di semplice ostinazione ed era arrivato il momento di lasciare andare. Il rapporto con la tecnica artistica è stato per me, come credo per ogni artista, una metafora del rapporto con la vita: comprendere quello che ti appartiene e quello che ti rappresenta.
Devo però dire che in questo processo ha giocato un grande ruolo anche la fatalità e il coraggio. La mostra è stata esposta per la prima volta in uno spazio espositivo decisamente grande e correvo il rischio che le opere si perdessero, così ho dovuto osare. Per la mostra ho quindi dovuto pensare ad opere molto grandi, ma soprattutto fuori dagli schemi e spingermi oltre da mia zona di comfort, osando anche a fare altro. E così è nata anche la collaborazione con Alicia Herrero, la mia Mitocondria. Lei era parte della scatola della felicità. Era all’interno di questa scatola di legno rivestita da collage di mie opere e realizzava una performance. La scatola era chiusa e aveva delle fessure sulle quali chi veniva alla mostra poteva guardarla con il suo personale punto di vista, dal suo punto di osservazione. Perché del resto la felicità, come la memoria, è assolutamente personale: di un determinato evento ognuno di noi ha un determinato ricordo che dipende da tante cose, fra cui, banalmente, da dove si guarda sia fisicamente, sia metaforicamente.
La memoria ha continuato a rivestire un ruolo importante nella tua arte, anche se poi il tema principale è il mondo femminile.
Certo, anche nel tema del mondo femminile, della maternità, della vita domestica, temi che mi sono molto cari e anche molto vicini come donna e come mamma, c’è sempre un riferimento alla memoria, agli affetti familiari. È un proseguimento nel cammino della nostra vita, che parte dalle nostre radici, dalla nostra infanzia, prosegue nei vari aspetti del nostro vissuto, ma che ovviamente non ci lascia mai.
Per me non si è trattato di un superamento del tema, direi piuttosto di una sintesi: ho interiorizzato quel tema, ho accettato che fosse parte integrante di me ed è ora un elemento discreto di tutto ciò che mi rappresenta, quindi anche della mia arte.
Dopo che io ho finito di analizzare la mia memoria, sono andata a rubare la memoria degli altri. Quello che era un processo personale, profondo e doloroso è poi diventato un modo di relazionarsi con gli altri, un’analisi della memoria degli altri e sta prendendo forma in un nuovo progetto.
Il nostro rapporto con le immagini è profondamente cambiato, il digitale e ha cambiato tutto. Il telefono fa sì che abbiamo una fotocamera a portata di mano sempre e ci porta a scattare giornalmente moltissime foto che però, proprio perché sono molte e vengono archiviate senza senso, finiscono per essere dimenticate.
Io sto lavorando appunto sulla memoria degli altri, prendo queste immagini, che sono un ricordo della vita altrui e le rielaboro, partendo da un ricordo creo qualcosa di nuovo.
L’opera che è la copertina del numero Memoria 2021, è un dipinto che fa parte della mostra Pasajes de la memoria.
Silenzio è una delle tre opere pittoriche della mostra Pasajes de la memoria.
È stata un’opera emotiva, non studiata per il messaggio che doveva veicolare. Sono partita dall’immagine della bambina, una figura che avevo visto sullo sfondo di una fotografia di mio papà e da lì, di getto ho disegnato il resto. Una bambina sola che va incontro a qualcosa o forse si allontana da qualcosa con una nebbia che rende tutto più indefinito, tranne che lei. Quando ho visto l’opera, mi sono resa da subito conto che si poneva in forte contrasto con il rumore che facevo di solito nelle mie opere piene di tagli, di diversi colori a volte anche molto accesi, di confusioni emotive forti. Ho pensato al silenzio, ed ho deciso di darle questo titolo, non solo per l’armonia dei colori, ma per la rappresentazione stessa, per il silenzio che deve esserci nella vita di ciascuno quando vive determinati momenti.
Non posso però dirti altro, se non il significato personale per le emozioni che mi suscita o che mi ha suscitato. E spero che per ciascuno abbia un significato personale, che ognuno la veda andare o allontanarsi da qualcosa, un qualcosa che nel silenzio della nostra memoria sappiamo cos’è.