Ascolto nelle orecchie e nel cuore
di Imma Franzese
Un nonno che racconta la propria esperienza di vita; una mamma che legge una favola per la buonanotte; un professore che racconta di Leopardi; un vecchio giradischi che riproduce la settima sinfonia di Beethoven. Tutte queste immagini hanno una cosa in comune: la necessità di essere ascoltate. L’ascolto svolge un ruolo fondamentale nelle nostre vite, eppure non ci pensiamo. Potremmo definirlo un atto scaturito da fattori esperienziali o, forse, un’abilità innata che nessuno sceglie di fare o di imparare a fare? Se partissimo da un punto di vista fisico-scientifico potremmo affermare che ascoltare indica un processo legato al senso dell’udito che fa da sostrato alla nostra vita e ci accompagna fin dal principio di essa. A partire dalla vita intrauterina, infatti, ciascuno di noi vive una sinfonia gestazionale ed inizia a sperimentare il significato di suono partendo dai battiti cardiaci, dalla respirazione e dalla voce materna, inizialmente percepiti come vibrazioni e poi come suono. Ma qual è la cosa più affascinante? L’ascolto presuppone che ci sia attenzione verso uno stimolo esterno, il quale pian piano viene interiorizzato e si fa spazio nel nostro cervello sotto forma di vibrazioni – attraverso il padiglione auricolare e il condotto uditivo – e poi di impulsi elettrici che giungono alla corteccia uditiva. È proprio in questo momento, che mi piace definire travestimento emozionale, che il suono acquisisce un significato soggettivo e viene collegato a ricordi o ad emozioni. Questo spiega il motivo per cui un neonato si tranquillizza ascoltando la voce della madre così come l’ascolto di una canzone amata può evocare, nell’uomo, determinate emozioni. È così bello pensare che un qualcosa a noi sconosciuto possa essere, attraverso l’ascolto, compreso e assorbito in profondità fino a diventare una cosa propria, in grado di provocare reazioni emotive ed effetti benefici anche fisici. L’ascolto può essere considerata un’arte e allo stesso tempo un grande dono: arte perché la percezione oggettiva viene colmata da una componente personale che permette al singolo di forgiare quella materia eterea e far si che la fugacità temporale non sia un limite per la percezione e la ricezione di quello stimolo nella mente e nel cuore. Pur essendo una capacità innata, va coltivata e compresa nel tempo: ognuno dovrebbe sperimentare l’importanza dell’ascolto nella propria vita allo stesso modo in cui un bravo pianista esplora il proprio strumento continuamente, alla ricerca di sonorità sempre più corpose che superino i limiti fisici dello strumento stesso. È dono perché comporta conoscenza, arricchimento, crescita e ci permette di entrare in contatto con la parte più profonda e intima di noi stessi e degli altri. Se in un mondo ricco di stimoli visivi e sonori – come quello in cui viviamo – è difficile ascoltare nelle orecchie, lo sarà ancor di più ascoltare nel cuore, ma dovremmo imparare a farlo.