Emma Zilli e la prima assoluta di Falstaff, ossia la vittoria delle donne
di Cecilia Nicolò
Nell’Italia post-unitaria, il Codice civile del regno d’Italia recitava: «il marito è capo della famiglia: la moglie segue la condizione civile di lui, ne assume il cognome, ed è obbligata ad accompagnarlo dovunque egli creda opportuno di fissare la sua residenza». Il soprano Emma Fiappo nacque nel 1863 a Udine; nel 1882 sposò il litografo Giacomo Zilli e ne acquisì il cognome: per tutta la sua carriera venne conosciuta con il nome di Emma Zilli. Ad eccezione del cognome, però, Emma dimostrò di essere fin da subito una donna forte e autonoma: lunghe tournées la costringevano spesso a rimanere per lunghi periodi lontano da casa, sempre con la silenziosa ma fondamentale approvazione del marito, che non impedì mai alla consorte di viaggiare e di lavorare nei teatri di tutta Europa e del Sud America, raccogliendo ovunque grandi successi.
L’evento più importante della sua carriera fu, senza dubbio, la partecipazione alla prima assoluta di Falstaff, l’ultima opera composta da Giuseppe Verdi, che debuttò sul palcoscenico del teatro alla Scala di Milano la sera del 9 febbraio 1893. L’anziano compositore e il suo editore di fiducia, Giulio Ricordi, trascorsero lunghi mesi intenti a scegliere con estrema meticolosità il cast per l’evento; fu proprio Giulio Ricordi, che aveva avuto modo di ascoltare Emma in diverse occasioni, a insistere sul suo nome, superando le iniziali reticenze dell’esigentissimo Verdi. Quest’ultimo teneva particolarmente alla parte di Alice Ford, la protagonista femminile dell’opera, che sarebbe stata poi affidata proprio a Emma Zilli: Alice «deve avere il diavolo addosso. È lei che mena la polenta», scriveva a Giulio Ricordi il 13 giugno 1892. Ma tutte le cantanti che gli venivano proposte non lo soddisfacevano; in nessuna trovava quel “diavolo addosso” di cui aveva bisogno, inclusa Emma: «quello che mi dispera si è l’artista per Alice! […] La Zilli migliore di tutte?… Poveri Noi!», così si sfogava con Ricordi il 14 luglio 1892. Eppure Giulio insistette tanto da convincere Verdi, il quale, durante le prove tenute nella sua villa di Genova, dovette ricredersi sull’artista e dare piena ragione al suo editore: «la Zilli partirà domani. Sa la parte, si può dire, a memoria. Ha una volontà feroce per studiare ed imparare», diceva a Ricordi il 21 dicembre 1892.
Falstaff è, com’è noto, un’opera assai particolare: in essa manca di fatto una vera e propria parte da primadonna; è piuttosto un’opera corale, dove ciò che conta più di tutto è l’insieme, soprattutto per quanto riguarda le parti femminili. Così, le recensioni uscite all’indomani dalla prima assoluta si concentrarono soprattutto sull’esecuzione nella sua globalità, piuttosto che sull’esibizione di ogni singolo cantante. Il periodico «Cosmorama» scriveva il 16 febbraio: «Le quattro prime donne che lo compongono hanno tutte risposto alle intenzioni del maestro e del poeta. La signora Zilli, colla sua festività comica, elegante, che non esclude la flessibilità vibrante dei suoni; la signora Stehle, colla grazia squisita del suo canto fiorito e della sua ingenua malizietta; la signora Pasqua, che ha messo il suo nome europeo, in omaggio a Verdi, al servizio di un personaggio come quello di Quickly, quasi secondario, ma cui il suo ingegno presta un primario interesse; e finalmente la signorina Guerrini, di cui, nel poco che ha a fare, si sente a sprazzi la voce squillante e la sicurezza della dizione. Il cicaleccio di quelle comari, sovranamente musicato, ed il loro giuoco di scena sì ben architettato dal poeta, sono di una precisione, di una nettezza, di un brio sì esilarante, che delle sopracitate artiste fanno quattro piccole celebrità».
L’evento fu un successo strepitoso e Falstaff divenne il coronamento perfetto della luminosa carriera di Giuseppe Verdi. Ma a vincere, nell’opera, sono proprio le donne: quel “cicaleccio di comari”, il loro brio e la loro arguzia rappresentano la vittoria del buon senso e dell’intelligenza femminile sugli uomini. E su tutte le “comari” è Alice a “menare la polenta” delle burle ordite contro il goffo e pingue Falstaff (che viene prima gettato nel Tamigi dentro una cesta di panni sporchi e poi torturato nella foresta di Herne) e a Ford, il suo eccessivamente geloso consorte; è ancora lei a favorire le nozze tra la figlia Nannetta e il suo innamorato Fenton, pur se ciò andava contro le intenzioni del pater familias Ford. Insomma, nell’opera come nella vita, le quattro interpreti di Falstaff rappresentarono l’indipendenza e la forza delle donne in un’epoca ancora patriarcale, donne che sanno come governare sé stesse basandosi sulla forza della propria onestà morale: «E mostreremo all’uomo che l’allegria / d’oneste donne ogni onestà comporta. / Fra le femmine quella è la più ria / che fa da gattamorta» (Falstaff, atto II, parte seconda).
[Per ulteriori approfondimenti si rimanda a Cecilia Nicolò, Emma Zilli: una carriera di fine Ottocento, Roma, NeoClassica, 2019]