Poppea incoronata? L’Incoronazione di chi?
Qualche riflessione a proposito dell’intricata storia dell’Incoronazione di Poppea
di Monica Marziota
L’Incoronazione di Poppea dramma per musica attribuito a Claudio Monteverdi con libretto di Giovanni Francesco Busenello, è un’opera spettacolare sotto tanti punti di vista. Un busillis che ancora ci lascia perplessi e privi di certezze nella sua ricostruzione storica. L’incognita della paternità musicale e le tante problematiche relative al libretto pongono diversi interrogativi.
Andiamo con ordine: la prima rappresentazione andò in scena nel 1643 a Venezia presso il Teatro Santi Giovanni e Paolo di proprietà della celebre famiglia Grimani. Fonte sicura del primo allestimento veneziano è un libriccino che contiene il sunto della trama. Esso è redatto dal proprietario del Teatro: Scenario dell’opera reggia intitolata La coronazione di Poppea che si rappresenta in musica nel Teatro dell’Illustr. Sig. Giovanni Grimani. Grimani in quegli anni iniziò a rappresentare opere in musica nella sua sala di commedie aperta dal 1639. Sappiamo con sicurezza di un secondo allestimento a Napoli nel 1651, anch’esso attestato da un libretto stampato in quell’anno: Il Nerone ovvero L’incoronazione di Poppea. La versione partenopea è legata ad una partitura adespota del Conservatorio di Napoli. Probabilmente c’è stato un terzo allestimento a Parigi nel 1647, andato in scena equidistante dalle altre due rappresentazioni italiane: esattamente quattro anni dopo la prima veneziana e quattro anni prima di quella napoletana. Ne veniamo a conoscenza attraverso una lettera del cantante Stefano Costa che scrive al suo protettore Cornelio Bentivoglio mentre si trova nella capitale francese per inscenare l’Orfeo (di F. Buti e L. Rossi). Nella missiva Costa racconta del ritardo delle recite parigine e menziona la possibilità di fare il Nerone. Sappiamo inoltre che Stefano Costa aveva cantato a Venezia nello stesso Teatro e nella stessa stagione dell’Incoronazione. Se solo ci si ferma alle tre rappresentazioni citate, 1643, 1647, 1651, ed alle tre città in cui l’opera va in scena, il mistero pare infittirsi.
Intanto, nel 1656 Busenello è il primo a rivendicare la paternità: pubblica L’incoronazione di Poppea all’interno dell’edizione letteraria Delle hore ociose. La stampa di questa epitome di cinque drammi musicali, scritti dal poeta veneziano tra il 1640 e 1655. Dopo diciassette anni, l’autore del testo si rivela come legittimo autore dell’enigmatica opera. Occorre non lasciare inosservato che il testo di Busenello corrisponde, anche se non in ogni dettaglio, al citato Scenario di Grimani. Un altro indizio a favore del librettista, ma nessuna traccia sulla paternità musicale.
Solo nel 1681, trentotto anni dopo la prima, il noto storico canonico dalmata Cristoforo Ivanovich nella sua raccolta di lettere La Minerva al tavolino, che include in appendice le Memorie teatrali di Venezia, lega il nome di Claudio Monteverdi all’Incoronazione. Per Ivanovich è lui il compositore dell’opera. Gli studiosi, però, smascherano la negligenza e mistificazione del canonico che nel compilare la sua cronistoria dell’opera veneziana vuole ad ogni costo abbinare a ciascun titolo un librettista e un compositore. Le fonti dirette e telegrafiche della paternità monteverdiana bonariamente registrata da Ivanovich sono da prendere con le pinze, vista la più volte dimostrata infondatezza delle sue assegnazioni. Ad ogni modo ancora oggi la paternità monteverdiana non si può né smentire né confermare.
I dubbi sulla paternità, dunque, non riguardano solo l’inaffidabile fonte di attribuzione al compositore, ma anche l’integrità dell’opera come ci è giunta. La musica pervenutaci sembra opera collettiva di più compositori. Forse già all’origine il settantacinquenne Monteverdi, al suo ultimo impegno teatrale, fu aiutato da collaboratori più giovani. Sappiamo che la partitura di Venezia proviene dalla biblioteca personale di Francesco Cavalli. La biografia della moglie Maria Sozomeno, che gli faceva da copista, e il riscontro delle filigrane di altre partiture hanno consentito di fissare intorno al 1650-51 la redazione del manoscritto dell’Incoronazione. La partitura veneziana ha connessioni stilistiche che giustificano l’attribuzione monteverdiana di molte scene. Caratteristiche semiografiche in certe sezioni convergono alle consuetudini scrittorie di Monteverdi, mentre in altre divergono per avvicinarsi a quella della generazione seguente: Cavalli, Ferrari, Sacrati, Laurenzi. Di sicuro il manoscritto veneziano è una partitura ancora in sviluppo, non una copia d’uso, tanto meno una bella copia; contiene cancellature, sostituzioni, rappezzi, avvertimenti al copista che l’avrebbe dovuta mettere in bello, non si è potuto ricostruire l’integrità del testo di partenza, né definire il testo di arrivo. La partitura di Napoli ricalca grosso modo quella di Venezia, ignorandone però diversi innesti; in cambio apporta nuove aggiunte, nuove sostituzioni. Anche il testo verbale si distacca spesso, in entrambe le partiture, da quello letterario pubblicato nel 1656, come pure l’azione teatrale presenta qualche discordanza rispetto a quella dello Scenario del 1643. Insomma, un intrico che alimenta il sospetto che nelle due Poppee ci sia lo stampino di diversi musicisti, e di diverse età. Tuttavia, stando alle indagini e con buona coscienza, attualmente non possiamo né sostenere né escludere che l’Incoronazione sia di Monteverdi.
A conti fatti, l’Incoronazione di Poppea è il primo dramma musicale mai scritto di argomento storico e non mitologico. La nostra «opera regia», che vuol dire “dramma con personaggi regali”, intrighi di principi e sovrani, è ispirato alle vicende amorose che portarono l’imperatore romano Nerone a ripudiare la moglie Ottavia per sposare l’amante Poppea, che a sua volta è sposata con il nobile Ottone, e a far assassinare Seneca. La duplice trama dell’opera è ricavata da due fonti. L’episodio amoroso e delittuoso tra Nerone e Poppea, e la morte di Seneca sono narrate negli Annali di Tacito (libri XIV-XV), mentre il secondo nodo, più intrecciato, riguardante l’abbandono e cacciata dell’imperatrice da Roma, origina dalla tragedia Octavia attribuita allo stesso Seneca.
Fu il Carnevale di Venezia a fare da cornice all’Incoronazione, ed è certamente il clima particolarmente liberale e irreligioso della comunità intellettuale e artistica che risiedeva nella città lagunare a favorire un’opera dalle tinte quasi immorali. Busenello militava nell’Accademia degli Incogniti, un club che godeva di una ideologia assai irriverente e libertina. Il libretto è denso di citazioni dotte implicite ed esplicite, tanto nei dialoghi di seduzione e passionalità tra Nerone e Poppea, quanto nelle arringhe filosofiche di Seneca, e non risparmia affatto, anzi abbonda, in licenziosità erotiche e riferimenti piuttosto palesi alla malvagia e ostile mondanità.
L’Incoronazione esprime in un prologo e tre atti, ambizione, lussuria, egoismo, valori condivisi da tutti i personaggi, esclusi pochissimi. Positivo l’austero, serio e grave Seneca, macchietta stoica, incompreso, deriso, odiato da tutti. Seneca, che difende i valori dello stato, ma che nel contesto di forte critica al potere acquista quasi una patina ironica da parte dell’autore. Busenello che sceglie il peggior momento dell’Impero Romano – come definito da un’ampia ma non univoca storiografia – per rappresentare in pieno la sua corruzione fu benevolo con il filosofo romano, rendendolo all’incirca l’unico personaggio positivo della trama. Il sofisticato drammaturgo veneziano agli inizi dell’opera fa dire a due soldati che Seneca è corrotto così creando una sorta di dubbio sulla moralità del personaggio e mostrando la meschinità di una parte del popolino. Lo stoico precettore, accusato di non essere onesto e di predicare sciocchezze, rappresenta un modo attraverso il quale il drammaturgo si prende gioco della classe politica. Il dramma del Busenello, attribuisce una notevole importanza alla morte di Seneca, la colloca nel mezzo di tutta l’opera e le dedica ben tre atti. In realtà la morte di Seneca è avvenuta tre anni dopo il ripudio dell’imperatrice (giugno 65 d.C). Il drammaturgo ci presenta perlopiù una corte molto negativa, personaggi maligni e grotteschi. Questa opera, dove la bontà è punita e il crimine è premiato, è un caso raro nella storia del teatro moderno che infrange il precetto della giustizia poetica.
Ebbene, tirando le somme, non è chiaro chi abbiano incoronato con L’Incoronazione di Poppea. Ci si domanda se l’incoronazione sia stata scritta da Monteverdi, e se si tratti del suo, forse, ultimo capolavoro melodrammatico; di una paternità irrisolta della quale ancora ci interroghiamo e chissà per quanto tempo lo faremo; dell’avvocato Busenello, colto ed anche un po’ taccagno, che non fa nomi nello Scenario, neppure il proprio, e non menziona nessun collaboratore nei drammi da lui raccolti nelle Hore ociose; o di Nerone e del trionfo del potere, del dominio dei desideri di chi può ciò che vuole, delle più perverse e oscure intenzioni del genero umano e della bieca mondanità attraverso una storia realmente accaduta.
Forse è stata l’incoronazione del giusto e stoico precettore, filosofo e politico, Seneca, che dimostra con i fatti le sue teorie sulla vita, la morale e la virtù, mantenendo nei secoli una notevole fama, anche legata alle sue “incoerenze” nei confronti del potere.
Di sicuro non è stata l’incoronazione “a lieto fine” piena e totale di Poppea che ci ha proposto Busenello. Nella realtà storica narrata da Tacito, Poppea ebbe un trionfo d’amore effimero: morì pregna e brutalizzata dall’irascibile consorte (nel 65 d.C.). Secondo Tacito l’imperatrice consorte era ambiziosa e senza scrupoli. Secondo altri storici, Poppea fu verosimilmente una donna colta ed intelligente, legata al marito da un tenero affetto ricambiato. Godette di profonda stima da parte di Nerone che la consultò spesso in merito a questioni assai delicate. E se in alcune iniziative non riuscì a mitigare, se non in minima parte, gli eccessi di Nerone, questo non prova che fosse la diretta ispiratrice degli efferati delitti che le spianarono la strada. L’imperatrice consorte era per gli storici e contemporanei un comodo capro espiatorio per non accusare direttamente l’imperatore. Inquietante in un certo senso rimane la trama dell’eccentrico e sofisticato Busenello, e lo è ancor di più la storia che raccontano Tacito e lo stesso Seneca dove l’apoteotico finale di Poppea fu altro che trionfante. È incredibile come l’Incoronazione esprima tutte le passioni e i sentimenti dell’umana esperienza in un modo straordinariamente attuale.
La corona dell’Incoronazione forse è andata a tutti quelli che in un modo o nell’altro hanno fatto parte della sua «storia». Non si può di certo parlare di questa opera menzionando solo Busenello e Monteverdi ma si devono tenere presenti anche Tacito, Seneca, Nerone, Ottavia, Poppea, Grimani, Cavalli, Ferrari, Sacrati, Laurenzi, e persino Ivanovich. L’Incoronazione di Poppea, sia che abbia uno, tanti o troppi padri, resta non solo un favoloso puzzle, un meraviglioso labirinto, ma, principalmente, un indiscutibile ed intrigante capolavoro: una meraviglia che siamo fortunati di poter ascoltare, leggere, ammirare.
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